Pensare con nostalgia al passato è un po’ fare retorica, talvolta significa vivere di ricordi e non voler affrontare una realtà differente da come l’avevamo immaginata, un futuro che lentamente cambia in direzione diversa da quella che noi avremmo voluto. I capelli si sono diradati, e quelli rimasti ormai, sono quanto meno striati di grigio, testimoniando che abbiamo vissuto le nostre esperienze venatorie, e non. Si infatti, abbiamo fatto il nostro tempo, ma un futuro senza starne pochi se lo aspettavano. Per molti un futuro difficile da accettare, un po’ come arrendersi di fronte ad una sfida difficile. Personalmente sono quelle che amo raccogliere, perchè suscitano in me uno stimolo così forte, da non farmi arrendermi mai.
Impegnarsi nella reintroduzione della starna, indubbiamente è una sfida difficile, ma non impossibile, se solo ci si credesse veramente e come me, tutti i cacciatori.
Perché chi ha conosciuto le starne vere non può dimenticarle? Perché tutto ciò che da fortissime emozioni, non si dimentica mai, così come si dice del primo amore.
Come potrei dimenticare l’incontro con la mia prima beccaccia? Forse, solo con la fine dei miei giorni.
Così come il primo incontro con le starne, perfino l’odore di menta selvatica sprigionatosi nell’aria per averla calpestata, è rimasto nella mente e riesce a rievocare in me quell’episodio tutte le volte che ci cammino sopra.
Quel giorno Dog scomparve alla mia vista dietro un cucuzzolo incolto, lo raggiunsi, era in ferma statuaria, con ritmiche contrazioni della mandibola, nel “masticare l’aria”, ma l’incantesimo s’interruppe quasi subito dopo il mio arrivo, da dietro l’olivo esplode in volo il branco di tredici starne. Restai senza fiato per tanta adrenalina mi è schizzata in circolo, ed anche il cane, quasi intimorito, le osserva andar via sedendosi invece di rincorrerle.
Era il 1974 in Zona Ripopolamento e Cattura di Petritoli, il medesimo territorio dell’attuale, appena trentatre anni fa, forse erano le ultime nate libere. Qualche anno dopo, feci la conoscenza dei calanchi di Monteleone di Fermo, di rimpetto a Frazione Curetta di Servigliano, forse i luoghi dove sono nate (almeno nel nostro ATC), le ultime brigate di starne da coppie di allevamento. Il destino ha voluto che proprio in quei posti sorgesse il Centro di Ambientamento di Monteleone di Fermo pubblico di riproduzione di selvaggina e dopo l’ iniziale immissione di fagiani, non particolarmente positiva, si è pensato, anzi, il presidente stupendomi ha pensato all’immissione di starnotti, decisione poi subito condivisa da tutto il comitato di gestione dell’AP1.
Ottima idea infatti, speriamo che tutto ciò non sia avvenuto per pura casualità, ma sia un disegno predestinato, come dire, se qualcosa di positivo dovesse accadere, non può che succedere nel posto più idoneo.
Dobbiamo abbandonare il tono poetico/romantico, anche se la vera caccia è e resta sempre e soltanto poesia.
Coloro che non riescono a trarre emozioni forti dall’incontro con un selvatico a caccia, sono persone sicuramente poco sensibili, estremamente materialiste che, valutando il tutto con la bilancia con cui pesano la “ciccia” cacciata, resteranno privi di così tante cose non godute, che il misero carniere non potrà giustificare in alcun modo, ne il sacrificio economico, tanto meno quello fisico dell’andare a caccia.
Cosa si può fare per far si che il miracolo avvenga?
E’ ancora possibile fare qualcosa per tentare d’invertire la rotta?
Sarà possibile innescare un meccanismo inverso che possa riportarci indietro come in un’ipotetica macchina del tempo?
Secondo me si!
Primo, bisogna crederci ciecamente; secondo, lottare senza arrendersi mai leggendo ed interpretando quanto madre natura cerca di farci capire inviandoci messaggi che i più si rifiutano di vedere; terzo, quali cacciatori moderni, dobbiamo raccogliere l’unica sfida ancora possibile oggi con la starna: aiutarla a vivere e farla tornare a ripopolare spontaneamente i nostri terreni. Di caccia se ne potrà parlare dopo il raggiungimento di questo obbiettivo. Affrontiamo ora un’analisi storica, confrontando gli anni d’oro di questo selvatico e le ragioni di tanta abbondanza, con i cambiamenti che hanno condotto allo stato attuale, come in un documentario televisivo di Piero Angela.
LE MODIFICAZIONI IN AGRICOLTURA E LE CAUSE POLITICO AMBIENTALI
LE MODIFICAZIONI GENETICHE CONSEGUENTI L’ALLEVAMENTO IN CATTIVITÀ
PROPOSTE
LE MODIFICAZIONI IN AGRICOLTURA E LE CAUSE POLITICO AMBIENTALI
Attorno agli anni 10/50, era aurea per questo selvatico, esistevano aziende che raramente superavano i 5/10 ha, tutte gestite a rotazione colturale quinquennale. Qualsiasi proprietà coltivata veniva divisa in cinque appezzamenti distinti, di cui 2/5 erano coltivati a foraggio, 2/5 a grano ed uno a rinnovo (mais e negli anni successivi, a bietola). Il foraggio si seminava ai primi di marzo in mezzo al grano già nato ai primi di novembre e dove in precedenza c’era il rinnovo (mais/bietola). Dopo la mietitura del grano, laddove era stato seminato il foraggio a marzo, questo cresceva e ad agosto assicurava gia il primo sfalcio (strame), l’impianto durava tre anni e ad agosto del terzo anno veniva arato e preparato per seminare nuovamente a novembre il grano. L’altro quinto di grano seguiva la coltivazione a rinnovo (mais o bietola). Questa diversificazione colturale è stata essenziale, vitale, per qualsiasi specie selvatica, particolarmente per la starna. La sequenza su un appezzamento era la seguente: grano (foraggio seminato a marzo in mezzo), foraggio, grano (letame) rinnovo – grano (marzo foraggio).
Contemporaneamente un terreno aveva sempre 2/5 a grano 2/5 a foraggio e 1/5 a rinnovo. La diversificazione colturale era massima ed esistevano sempre 2/5 con la stoppia, di cu uno con foraggio giovane.
Ai primi di novembre la nascita del grano assicurava l’alimento alle starne per l’inverno, da queste “brucato” come fa la lepre. Solo gli escrementi permettevano di distinguere se vi avevano pasturato le lepri o le starne.
Appare evidente come la diversificazione colturale, obbligatoriamente legata alla rotazione quinquennale, in cui ogni azienda doveva produrre foraggio per l’alimentazione dei bovini impiegati nel lavoro dei campi, l’utilizzo del relativo letame per la concimazione organica, fosse alla base della catena alimentare di questo selvatico. L’inesistenza della meccanizzazione, dove ogni lavoro veniva eseguito dalla mano dell’uomo con l’aiuto degli animali, ha permesso lo sviluppo massimo della specie.
Sostanzialmente i fattori positivi possono essere così riassunti:
- Massima diversificazione colturale con aziende molto piccole,
- Massima coltivazione di grano,
- Impiego degli animali per il lavoro nei campi ed assenza o quasi della meccanizzazione,
- Concimazione organica e non chimica,
- Ridottissimo prelievo venatorio.
In quegli anni, 10/50, pochissimi sparavano alle starne, soprattutto per mancanza di munizioni, “non valeva la pena sprecarci una cartuccia” raccontavano i nostri vecchi. Infatti qualcuno sparava solo se ferme ed in condizioni di poterne abbattere più di una con un solo colpo.
I fattori negativi:
- Scelte politiche errate,
- Abbandono della rotazione quinquennale a vantaggio della monocoltura,
- Accorpamento massimo delle aziende e passaggio ad un’agricoltura estensiva e sempre più meccanizzata,
- Ridotta presenza di stoppie e foraggio,
- Concimazione quasi solo chimica, con uso sistematico di disseccanti, trattamenti chimici ed antiparassitari.
La rarefazione/scomparsa della starna prende origine da una mancata coesione attorno al principio secondo cui una specie a rischio d’estinzione, doveva essere tutelata, gestita, protetta.
Da un lato, falsi ambientalisti, acerrimi nemici e storicamente prevenuti nei confronti della caccia, dall’altro, associazioni venatorie ai primi contrapposte e comunque poco sensibili alle tematiche faunistico ambientali, hanno permesso alle amministrazioni provinciali e regionali di legittimare il prelievo di un capitale ormai inesistente.
Quali giustificazioni tecniche sono state addotte per continuare a permettere il prelievo della starna?
La garanzia che la specie poteva essere riprodotta senza problemi ed anche in grandissime quantità in allevamento. Proprio questo ha decretato inesorabilmente la sua condanna all’estinzione.
Stiamo vedendo come le scelte politiche, finanziamenti regionali nel settore, siano orientate oggi, più verso il pronto caccia, che alla produzione naturale di selvaggina degna di questo nome, il tutto con la benedizione di coloro che, per scelta ideologica dovrebbero invece essere contrari e che invece, a tal proposito non fanno nessuna opposizione, forse consapevoli che in questo modo la caccia andrà a perire di morte naturale, da sempre il loro obiettivo. Le cause ambientali possono essere annoverate nelle modificazioni dell’agricoltura.
Il patrimonio indispensabile al ciclo biologico oltre che di tutti gli uccelli insettivori, come pure di tutti i granivori sono gli insetti quali grilli locuste cavallette, mosche e moscerini vari, formiche e le loro uova, lumachine piccole con guscio. La catena alimentare non è altro che un cerchio concatenato ad altri cerchi che alla base di ogni specie che lo costituisce, deve esserci l’approvvigionamento di alimento. La formica per riprodursi numerosa deve avere alimento in abbondanza ed il suo pabulum sono semi di ogni genere, come quelli di graminacee (grano, orzo, sorgo, avena, mais), leguminose (medica sulla trifoglio, lupinella, pisello, fava, favino, veccia) girasole e di tutte le piante spontanee, insetti morti ecc. Durante l’estate avviene la raccolta e l’immagazzinamento per l’inverno. Più abbondanti sono le scorte alimentari, maggiori saranno i componenti la famiglia che supereranno l’inverno ed in primavera potranno incrementare la riproduzione con la deposizione di un maggior numero di uova.
Di queste si nutrono i piccoli di starna fagiano pernice. Se appena la trebbiatura, già il giorno successivo, vediamo che la stoppia viene erpicata, dobbiamo domandarci come fanno le formiche ad immagazzinare il grano per l’inverno? Possiamo parlare di vero e proprio accanimento dell’agricoltore attuale nel mettere in atto una pratica agronomica di nessuna validità tecnica e di nessunissima utilità economica. I più sostengono che tale pratica serve a far rinascere i semi riducendo le infestanti. Sappiamo bene invece come le stesse rinascerebbero comunque se piovesse dopo la trebbiatura, a prescindere o meno dall’erpicatura. Diversamente, senza pioggia, non rinascerebbe nulla ugualmente. L’inutilità è confermata dal fatto che comunque per ogni coltura si ricorre al diserbo già alla semina o a coltura in atto.
Le formiche sopravvivono ancora negli incolti, sulle scarpate ed in tutti i luoghi dove non si spargono prodotti chimici. La sua utilità è grandissima, soprattutto nel tenere sotto controllo gli afidi (pidocchi delle piante). Come possiamo vedere, in natura nulla è stato creato per caso, ogni essere vivente animale o vegetale che sia, ha una sua logica ed utile collocazione concatenata alla biologia di tutte le specie.
Di positivo in agricoltura, ed a vantaggio della fauna, dobbiamo segnalare la sinergia fra provvedimenti di riposo del terreno ed il mantenimento di uno stato agronomico compatibile, che obbliga il gestore a non compiere operazioni nei periodi di nidificazione degli uccelli (marzo/luglio). Come pure gli di antiparassitari impiegati oggi, sono molto più selettivi rispetto al passato, mirando la ricerca ad ottenere, sempre in un ottica di efficacia, prodotti massimamente eco compatibili ed ovviamente i risultati sono testimoniati dall’incremento di specie insettivore.
LE MODIFICAZIONI IN AGRICOLTURA E LE CAUSE POLITICO AMBIENTALI
LE MODIFICAZIONI GENETICHE CONSEGUENTI L’ALLEVAMENTO IN CATTIVITÀ
PROPOSTE
LE MODIFICAZIONI GENETICHE CONSEGUENTI L’ALLEVAMENTO IN CATTIVITÀ
Considerando che l’allevamento di questa specie è iniziato attorno agli anni 50 circa, sono almeno 57 anni che le starne si riproducono in gabbia.
Senza scomodare le teorie sull’evoluzione, possiamo senza ombra di dubbio affermare che con l’allevamento in cattività, la starna, pur conservando il patrimonio genetico di partenza, per nostra fortuna, ha dovuto subire un adattamento, nel quale, fattori comportamentali essenziali alla prosecuzione della specie allo stato selvatico, sono divenuti superflui in allevamento. Come dire una sorta di selezione massale, cioè una popolazione pur composta dal medesimo corredo genetico ha pur tuttavia delle diversificazioni soggettive, morfologiche, fisiche e comportamentali, che a contatto con un dato ambiente ne permette una migliore adattabilità rispetto ad altri individui che non le posseggono. Es. in carenza di alimentazione, riescono a sopravvivere ed a continuare la prosecuzione della specie gli individui più piccoli che hanno minori esigenze alimentari, rispetto a quelli di mole maggiore. In questo modo, da una medesima popolazione si è selezionata la starna più piccola di montagna rispetto a quella più grande di collina pianura. Altra caratteristica condizionante potrebbe essere la temperatura ambientale del nostro clima, alla quale non si adatterebbero le starne del nord Europa, (con cui molti cacciatori vorrebbero si ripopolasse) impossibilitate a riprodursi a temperature superiori ai 20-22°C, nel senso che la maggior parte diverrebbe sterile, non è escluso che comunque qualche esemplare riesca ad adattarsi.
Il comportamento aberrante di una starna in natura del tipo: deporre le uova in più punti senza la costruzione del nido, o non covare le uova deposte, o non saper accudire la prole, o fare il nido lontano da fonti di approvvigionamento alimentare o di acqua, condurrebbe ad un medesimo risultato. A quella coppia verrebbe negato il diritto di dare continuazione alla specie. In natura non esiste alcuna pietà, le deviazioni dalla norma vengono drasticamente stroncate dalla selezione naturale!
L’allevamento è sicuramente iniziato con starne selvatiche di cattura, o nate da uova raccolte da coppie selvatiche, incubate o covate artificialmente. Nella popolazione ipotetica iniziale ad esempio, di cento coppie, in poche si saranno adattate all’ambiente innaturale della gabbia, le più nevrili, le più diffidenti e selvatiche non si sono accoppiate quindi non avranno deposto le uova, togliendo dal gioco il proprio corredo genetico. Le più adattabili e meno selvatiche invece si. Di conseguenza con 57 anni si sono avuti 57 passaggi generazionali in direzione opposta a quanto accade in natura, cioè la prosecuzione della specie è stata assicurata da soggetti ai quali, probabilmente, madre natura avrebbe negato il diritto alla riproduzione.
Questo non significa che non è possibile tornare indietro, ma per farlo dobbiamo impegnarci riassoggettando le starne attuali, quelle che abbiamo, alla selezione naturale. Probabilmente anche in presenza di condizioni ambientali modificate, il miracolo è ancora possibile, mettendo in atto quanto citato in premessa: crederci ciecamente e non arrendersi mai, ponendo in essere quanto più utile alla specie, nelle condizioni attuali; senza pensare di stravolgere l’agricoltura, ma disincentivando scelte agronomiche, superflue da un punto di vista agronomico, distruzione precoci delle stoppie, pratica dannosissima per la specie di cui stiamo parlando. Incentivare la coltivazione a foraggio, le colture a perdere specifiche per la starna, ripristinare o creare anche artificialmente punti di abbeverata.
Se per esempio una determinata coppia avesse perso l’istinto alla cova, non avrebbe arrecato alla popolazione nessun danno se in stato di libertà, (non avrebbe avuto eredi) in allevamento, i propri prodotti parteciperebbero attivamente alla prosecuzione della specie, con danni catastrofici per la specie di appartenenza.
Altra caratteristica importantissima della starna selvatica, dai più sottovalutata, è l’integrità del becco. Questo viene utilizzato per scavare nelle crepe del terreno alla ricerca di cibo, usato a mo di rostro, permette di dissodare pezzi di zolle per nulla piccoli, recidere parti vegetali tenere, come un paio di affilatissime forbici. Impossibile in buona parte dei soggetti di allevamento per l’impiego di anellini o copri becco anti cannibalismo, che lo deformano spesso in modo irreversibile, non permettendo la perfetta chiusura a forbice tra la branca superiore e quella inferiore. Ne consegue un anomalo allungamento, poco compatibile con una vita allo stato libero, di nessuna influenza per un’alimentazione dalla mangiatoia.
L’allevamento inoltre con sfarinati concentrata, porta ad un’inevitabile accorciamento dell’intestino tenue. La starna selvatica in periodi di difficoltà alimentare è costretta a nutrirsi anche di vegetali poveri, che per essere assimilati necessitano di un transito intestinale ben più lungo perché possano essere assimilati dall’organismo, senza nulla sprecare. Fenomeno reversibilissimo dopo qualche tempo con una vita libera.
Spesso ci segnalano comportamenti stupidi degli starnotti che immettiamo e che anche dopo qualche mese di vita in libertà, non partono in volo con il fragore delle starne di una volta. Perché? Trattasi di mancanza d’imprinting. Alla schiusa in incubatrice, le neonate, vedono invece della madre, la faccia dell’uomo, che le accudirà fino alla immissione in libertà. Non conoscendo il pericolo, non metteranno in atto tutte le energie necessarie per evitarlo. Dopo tre generazioni allo stato libero, si potrà parlare di una minima riappropriazione di rusticità.
LE MODIFICAZIONI IN AGRICOLTURA E LE CAUSE POLITICO AMBIENTALI
LE MODIFICAZIONI GENETICHE CONSEGUENTI L’ALLEVAMENTO IN CATTIVITÀ
PROPOSTE
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Da quanto scritto traspare quello che si dovrebbe fare a favore della starna, aggiungendo e sottolineando ancora, che il miracolo è possibile , aiutiamolo a diventare realtà. Cacciare la starna oggi non può essere un vanto, sparargli in terra come più di uno ha fatto è una vera vergogna, proteggerla per cinque o sei anni continuando con immissioni mirate, significherebbe dare concreto atto a quanto si è fin qui detto.
Miracoli ce ne sono stati diversi. Tre anni or sono una covata è nata dentro la ZRC di Petritoli. Il maschio per difendere la prole volava in faccia ad una persona che si avvicinava al suo areale. Atteggiamento giusto sotto il profilo comportamentale, ma dissennato per il porre in continuo repentaglio la propria vita e di conseguenza quella della brigata che dovrebbe difendere. La chiave di lettura interpretativa, è la mancanza d’imprinting, di esperienza di vita. Qualsiasi individuo la potrà riacquisire conducendo vita libera in modo da trasmetterla alla prole ed alle generazioni future. Il soggetto fucilato a caccia non potrà trasmettere mai nulla a nessuno. Voglio sottolineare che molte covate sono state segnalate in più parti.
Quello che fa ben sperare, è l’entusiasmo con cui ti raccontano l’accaduto, come se si trattasse di un miracolo vero e proprio. Quest’entusiasmo va partecipato a quanti leggono, ed a loro voglio dire che se si riconoscono e condividono queste idee devono muoversi, devono impegnarsi, creare un gruppo di amici per parlare di starna, confrontarsi e pensare seriamente alla realizzazione di un progetto, possibile, senza aumento di costi.
Questa è l’occasione per creare un gruppo, un club “amici della starna”, contattarci e metterci a lavorare per questo selvatico meraviglioso. Segnalaci la tua adesione. L’ATC AP1 sarà il tuo punto di riferimento.
Il Gruppo Fauna (Luigi Marilungo)